Oggi in Turchia si rischia l’arresto per un solo post di critica su Facebook. L’hanno chiamata “Operazione Social Media” e al di la del nome amichevole è una vera e propria operazione di repressione fascista del libero pensiero che tra il 26 febbraio e l’11 marzo ha portato in carcere 169 persone che avevano criticato l’operazione militare turca ad Afrin e la politica di Erdogan portando così il numero degli arresti a un totale di 845 persone.
Gli ultimi due arresti in ordine di tempo sono quelli di Kubilay Celik, vice presidente della DEKD (Darıca Laborer Culture Association) e di Enver Arg, membro senior della stessa associazione di lavoratori. I due, arrestati ieri, sono accusati di aver pubblicato su Facebook un post di critica sulla operazione “Olive Branch” in corso nella regione siriana di Afrin. A renderlo noto un comunicato della associazione distribuito ai “media amici”.
I numeri degli arresti sono confermati dal Ministero degli Interni turco che con un comunicato distribuito questa mattina afferma che «in una operazione legale denominata “operazione social media” sono state tratte in arresto 169 persone che operavano sui social media contro la Turchia». Nel comunicato si specifica anche che da gennaio le persone arrestate per aver criticato la Turchia sui social media sono complessivamente 845, alcune delle quali rilasciate in attesa di giudizio.
A guidare la “Operazione Social Media” è direttamente il Ministero degli interni turco che attraverso le squadre antiterrorismo nei giorni scorsi ha effettuato delle vere e proprie retate soprattutto nella città di Smirne. Durante le retate agli arrestati sono stati sequestrati anche diversi computer, articoli di giornali esteri che criticavano la Turchia e più specificatamente Erdogan, appunti presi da testate estere e tradotti in turco oltre ad altro materiale giudicato dall’antiterrorismo come “ostile alla Turchia”.
Deriva fascista
Le associazioni turche e le organizzazioni per la difesa dei Diritti Umani in Turchia denunciano la deriva fascista del regime di Erdogan. «Oggi in Turchia si va in galera solo per scrivere un post critico sui social media» denuncia a RR un esponente della società civile. «La libertà di stampa ormai è solo un miraggio, possono scrivere solo i giornali e i media di regime. Ora si cerca di uccidere anche la libertà di pensiero e di opinione» ci dice l’uomo che naturalmente vuole rimanere anonimo.
Quello che i tantissimi dissidenti turchi si chiedono è come sia possibile che nel pieno di questa deriva autoritaria e fascista intrapresa dal regime di Erdogan, l’Europa se ne stia assolutamente in silenzio. «Non solo stanno zitti, ma accolgono Erdogan nelle loro capitali e persino in Vaticano quasi che fosse uno statista democratico invece di essere un mero dittatore» ci scrive in una mail un rappresentante della associazione DEKD.
Ed è quello che ci chiediamo anche noi: com’è possibile che l’Europa continui nel suo silenzio rotto solo da qualche sterile comunicato di forma? Non è forse arrivato il momento di sanzionare il regime turco e di isolarlo una volta per tutte? O i valori europei sono solo sulla carta?
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