Mentre tutti si aspettavano che dopo aver distrutto i sistemi di difesa iraniani, Israele attaccasse – come logico – il programma nucleare iraniano praticamente quasi alla mercé dei caccia israeliani, da Washington arriva lo stop alle operazioni militari contro l’Iran.
Contrariamente a quanto affermato in campagna elettorale, l’Amministrazione di Donald Trump ha deciso di imporre a Israele lo stop alle azioni contro l’Iran perché intende portare avanti un programma di “massima pressione” con nuove sanzioni che costringano gli Ayatollah a sedersi ad un tavolo di trattative sul loro programma nucleare, tavolo che porti ad un nuovo JCPOA, cioè un nuovo accordo sulle attività nucleari e missilistiche degli Ayatollah.
Tuttavia la decisione dell’Amministrazione Trump sembra non tenere conto di due fattori fondamentali:
- L’Iran ha perso (momentaneamente) la deterrenza che gli forniva Hezbollah in Libano. Per avere una deterrenza che metta al sicuro il regime iraniano da attacchi israeliani su larga scala Teheran non ha alternative al nucleare, che non vuol dire necessariamente un ordigno atomico ma potrebbe voler dire una decina di bombe sporche. Secondo l’AIEA l’Iran ha abbastanza uranio arricchito quasi a livello militare per almeno tre ordigni nucleari o per una decina di bombe sporche. Per queste ultime basterebbe l’arricchimento attuale mentre per gli ordigni atomici l’Iran dovrebbe arricchire ulteriormente l’uranio, cosa che potrebbe fare in brevissimo tempo. E poi c’è il plutonio di cui nessuno parla ma che probabilmente viene prodotto nel reattore ad acqua pesante di Arak, anche se ufficialmente sarebbe spento. In sostanza, l’Iran accelererà il più possibile il suo programma nucleare in attesa della (certa) rimozione della fatwa di Khamenei sul nucleare ad uso militare.
- Il sistema militare iraniano sta lavorando a pieno ritmo per produrre missili, droni e ogni tipo di arma che possa essere venduta a terzi o usata contro Israele dall’Iran o dai suoi proxy. Le sanzioni, di qualsiasi tipo, non hanno mai impedito a Teheran di portare avanti il suo programma balistico o di produrre armi e droni da immettere sul mercato. I raid israeliani non avevano solo distrutto le difese iraniane, ma anche siti fondamentali per la produzione di missili balistici, droni e per il carburante. Questa lunga pausa permetterà alle Guardie rivoluzionarie (IRGC) di rimettere in sesto i danni prodotti dai raid israeliani e di tornare a produrre a pieno ritmo.
Ora, vorrei che si capisse il danno provocato dalla decisione di Trump di non permettere a Israele di finire il lavoro in Iran solo perché il Presidente americano mira al Nobel per la pace o perché, più probabilmente, non vuole essere trascinato in un conflitto su larga scala tra Iran e Israele. Ma era proprio Trump che quando alla presidenza c’era Joe Biden insisteva affinché Israele bombardasse le centrali atomiche iraniane. Che fine ha fatto quel Trump?
Dopo essere stato costretto ad un cessate il fuoco con Hamas, ora Netanyahu è costretto a fermare le operazioni contro l’Iran, operazioni che aveva pianificato ma rimandato proprio in attesa dell’arrivo di Trump alla Casa Bianca.
Il rischio, tutt’altro che ipotetico, è che tutti i grandi successi ottenuti da Israele in mesi e mesi di guerra, tutto il sangue versato su diversi fronti, vengano vanificati. Il rischio che l’indubbio capolavoro politico e militare attribuibile a Benjamin Netanyahu venga reso vano dalla politica attendista dell’Amministrazione Trump, la stessa politica più volte aspramente criticata implementata dall’Amministrazione Biden.