Sudan: durissime critiche alle ONG. Interessate solo ai propri interessi

sudan campo profughi

Piovono critiche sulle ONG in Sudan. Secondo l’ex responsabile dell’Onu in Sudan, Mukesh Kapila, ci sarebbero un milione di persone intrappolate in zona di guerra che sono sostanzialmente abbandonate a loro stesse.

«C’è un silenzio e una immobilità sconcertante da parte delle ONG sul conflitto in corso il South Kordofan e nel Blue Nile – dice Mukesh Kapila – un silenzio e una immobilità che uccidono quanto la guerra». E’ durissimo l’ex capo delle Nazioni Unite in Sudan. Dopo aver attraversato, senza il consenso del Governo sudanese, le zone interessate dal conflitto, Kapila è arrivato alla conclusione che oltre un milione di persone che avrebbero urgente bisogno di assistenza umanitaria sono invece lasciati al loro destino. Non solo, Mukesh Kapila lamenta il fatto che le agenzie umanitarie mantengono uno “sconcertante silenzio” sul conflitto in corso in Sudan, “un silenzio che uccide”.

Gli risponde, o perlomeno cerca di farlo, il responsabile per il Sudan di Oxfam, El Fateh Osman, il quale sostiene che da mesi le ONG stanno cercando senza risultato di arrivare a un accordo con il Governo sudanese e con i ribelli per avere accesso alle zone in conflitto. Kitty Arie, di Save the Children, sostiene che “la situazione è molto difficile e complessa” e che comunque stanno cercando di soddisfare le esigenze primarie dei bambini interessati dal conflitto. Il rischio, secondo diversi rappresentanti delle ONG, è quello di rompere i rapporti con Khartoum il che comporterebbe l’allontanamento delle ONG dalle zone di conflitto, così come è successo qualche anno fa in Darfur, se non addirittura l’espulsione dal Sudan.

Ma secondo Mukesh Kapila questo comportamento è moralmente inaccettabile perché “baratta la vita di un milione di persone con altri progetti in corso in Sudan”.

Al momento le uniche ONG a portare sostegno alle popolazioni interessate dal conflitto in South Kordofan e nel Blue Nile sono paradossalmente quelle più piccole che si alimentano con gli aiuti forniti dagli Stati Uniti attraverso l’agenzia USAID e che entrano nel territorio interessato dal conflitto senza il permesso del Governo sudanese ma anche senza pubblicità. E’ una sorta di tacito scambio. Loro (le piccole ONG) non fanno pubblicità sulle loro operazioni per non mettere in difficoltà il Governo sudanese, e Khartoum chiude gli occhi sul loro ingresso illegale. Questo sistema ha consentito di portare aiuto a oltre 400.000 persone negli ultimi mesi.

E qui siamo arrivati al solito discorso secondo cui le grosse ONG hanno bisogno di pubblicizzare i loro interventi per ragioni di raccolta fondi e quindi prettamente finanziarie. Così facendo, come sostiene Mukesh Kapila, l’aiuto umanitario fine a se stesso viene messo in secondo piano e questo si che è immorale. E così è proprio Mukesh Kapila a lanciare una iniziativa rischiosa molto simile a quella effettuata nel 1989 in Darfur (Operation Lifeline Sudan), cioè raccogliere una quarantina di piccole ONG disposte a intervenire senza il consenso del Governo sudanese pur di portare aiuto a quel milione di persone che attualmente si trova letteralmente intrappolato in zona di guerra senza alcuna assistenza. Il SPLA (Sudan People Liberation Army), cioè l’esercito del Sud Sudan, si è detto disposto a fornire la scorta ai convogli di aiuti umanitari. Uno schiaffo alle tanto pubblicizzate “grandi ONG” che alla fine si rivelano essere solo delle multinazionali più interessate ai loro interessi che all’aiuto umanitario fine a se stesso.

Claudia Colombo

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