Striscia di Gaza: la mossa di Hamas spiegata agli ottimisti

18 Settembre 2017

Ieri Hamas ha formalmente rinunciato al suo controllo sulla Striscia di Gaza e ha chiesto un Governo di Unità Nazionale che traghetti la cosiddetta Palestina (Gaza, Giudea e Samaria) verso le elezioni presidenziali.

Il cedimento di Hamas sembra essere il frutto delle sanzioni imposte dalla Autorità Nazionale Palestinese (ANP) al cosiddetto “Comitato amministrativo” che di fatto era un vero e proprio Governo della Striscia di Gaza, sanzioni che prevedevano il taglio dei finanziamenti per l’approvvigionamento dell’energia elettrica, il taglio degli stipendi e diverse altre iniziative volte a mettere in difficoltà Hamas nella Striscia di Gaza. Una lotta interna alle bande palestinesi quindi dove Israele ha fatto solo da spettatore. Il risultato per la Striscia di Gaza è stato effettivamente devastante con l’enclave araba che poteva contare su sole due ore di luce al giorno, il conseguente blocco pressoché totale dell’economia e le gravi difficoltà nel garantire qualsiasi assistenza alla popolazione. Apparentemente sembra quindi una vittoria di Abu Mazen su Hamas certificata dalla mediazione egiziana che ha convinto i terroristi di Hamas a cedere alle richieste della ANP e passare il controllo amministrativo della Striscia di Gaza alla ANP. Un risultato che ha fatto gioire gli ottimisti di mezzo mondo convinti che l’unità delle fazioni arabo-palestinesi sia fondamentale per arrivare alla nascita di una Stato palestinese.

Solo che non è proprio così. Nella mossa di Hamas ci sono diversi interessi, a volte convergenti con quelli arabi a volte no, che poco hanno a che fare con la nascita di uno Stato palestinese. Prima di tutto l’Egitto (e quindi l’Arabia Saudita) hanno due priorità che li hanno portati a negoziare con Hamas la consegna della Striscia di Gaza: tenere lontano l’Iran da Gaza e allontanare Abu Mazen dalla presidenza della ANP per sostituirlo con un uomo di loro fiducia che probabilmente è individuabile nella persona di Mohammed Dahlan. Se con molta probabilità il primo obiettivo è stato raggiunto (anche se ci sono dubbi sull’ala militare di Hamas e sulla Jihad Islamica di cui parleremo di seguito), ben più difficile appare raggiungere il secondo. Abu Mazen non ha nessuna intenzione di abbandonare il potere e con molta probabilità non ha nemmeno intenzione di indire nuove elezioni anche se sarà costretto a prometterle. Tuttavia la mossa a sorpresa di Hamas lo ha messo in difficoltà (che era quello che voleva l’Egitto) perché adesso sarà costretto a sollevare immediatamente le sanzioni imposte alla Striscia di Gaza se non vuole passare per quello che affama il cosiddetto “popolo palestinese”. Solo che sollevare le sanzioni alla Striscia di Gaza e formare un Governo di Unità Nazionale che traghetti gli arabo-palestinesi verso le elezioni vorrà dire con molta probabilità la sua fine politica. Insomma, Abu Mazen è al muro ma molto difficilmente si arrenderà senza tirare fuori dal cilindro qualche trucco di cui è maestro, il che vuol dire che non si andrà verso una pacificazione ma che probabilmente lo scontro si accentuerà invece di mitigarsi.

Il secondo importante punto di riflessione riguarda il controllo militare della Striscia di Gaza. Ammesso e non concesso che si arrivi a un accordo per la formazione di un Governo di Unità Nazionale e che questo “Governo” amministri la Striscia di Gaza, difficilmente Hamas scioglierà le proprie milizie che di fatto controllano il territorio per cedere alla ANP anche il controllo militare di Gaza. Questo non è un problema secondario perché Egitto, Arabia Saudita e Israele non allenteranno la morsa su Gaza senza che i gruppi armati smobilitino. E nella dichiarazione di Hamas si parla esplicitamente di cedere il controllo amministrativo della Striscia di Gaza ma non si fa nessun riferimento al controllo militare. Non è un dettaglio da poco. Negli ambienti della intelligence di Gerusalemme si pensa che la mossa di Hamas oltre ad essere finalizzata a mettere in difficoltà Abu Mazen (e ci sono riusciti) sia volta anche a ottenere un allentamento dei controlli della frontiera con l’Egitto il che permetterebbe al denaro e alle armi iraniane di passare con più facilità. Non è chiaro cosa abbia promesso l’Egitto ma è molto probabile che a seguito della rinuncia di Hamas al controllo di Gaza al Cairo abbiano promesso di allentare il blocco, ed è quello di cui Hamas ha più bisogno, più ancora che le sanzioni della ANP vengano rimosse. In sostanza la “resa” di Hamas potrebbe essere solo un escamotage per uscire dall’isolamento che di fatto ha tagliato qualsiasi rifornimento di armi e denaro al gruppo terrorista arabo-palestinese. Lo si vedrà nelle prossime ore quando Israele ed Egitto andranno a vedere le carte sul tavolo. Non vorremmo che per far fuori Abu Mazen si finisse per rafforzare Hamas, il che non è affatto una ipotesi remota.

Non gioiscano quindi gli ottimisti dell’unità palestinese, per il momento c’è ben poco di cui gioire. Difficilmente Abu Mazen si tirerà indietro e altrettanto difficilmente Hamas cederà il controllo militare della Striscia di Gaza. Detto francamente, il tutto sembra essere l’ennesimo trucco arabo, l’ennesimo escamotage di Hamas volto a uscire dalla difficilissima situazione in cui si è venuto a trovare. Ecco perché a Gerusalemme tutto o quasi tace. Per ora si guarda alla guerra tra bande senza commentare né intervenire. Ci vorranno solo pochi giorni per andare a vedere il bluff.

Maurizia De Groot Vos

Italo-Israeliana, Analista senior per il Medio Oriente ed Eurasia. Detesta i social ma li ritiene un male necessario. Vive a Bruxelles

Seguici su…

Sostienici

Sostieni Rights Reporter con una piccola donazione

Go toTop