Medio Oriente: ecco perché non ci sarà uno Stato Palestinese (per ora)

By Franco Londei - Editor

Due giorni fa ricorreva il 71esimo anniversario di quella che i palestinesi chiamano Nakba, la catastrofe, ovvero l’esodo volontario degli arabi a seguito della nascita dello Stato di Israele.

In questi 71 anni gli arabi hanno avuto più di una occasione per creare uno Stato Palestinese che vivesse in pace accanto allo Stato di Israele.

Più di una volta si sono raggiunti accordi (vedi gli accordi di Oslo) che se fossero stati rispettati avrebbero permesso la nascita di uno Stato palestinese in una parte di Giudea e Samaria e nell’enclave di Gaza.

Ma la dirigenza palestinese non ha mai voluto rinunciare allo status di vittima che nel corso di questi 71 anni ha garantito ai boss palestinesi enormi flussi di denaro provenienti da tutto il mondo, denaro che molto raramente è andato a coprire realmente i fabbisogni palestinesi, mentre in buona parte è finito nei conti correnti svizzeri degli stessi dirigenti e non di rado è finito nel fiume dei finanziamenti al terrorismo.

Per buona parte di questi 71 anni il mondo intero ha chiuso gli occhi su tutto, sui conti miliardari di Arafat e dei dirigenti della OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), sui vitalizi alle famiglie dei terroristi, sull’uso del denaro per costruire tunnel e missili e per comprare armi.

Il mondo intero ha chiuso gli occhi persino di fronte alla divisione intra-palestinese che ha portato Hamas al potere nella Striscia di Gaza, una vera guerra tra bande criminali più che una guerra civile.

Ma non per questo il flusso di denaro indirizzato ai palestinesi si è fermato. Anzi, paradossalmente è andato aumentando ogni anno mentre le dirigenze palestinesi facevano di tutto per esacerbare lo scontro con Israele instillando il seme dell’odio nelle nuove generazioni, un odio molto conveniente per chi per anni ha fatto man bassa di denaro lasciando che la popolazione araba continuasse ad impoverirsi, mentre al contrario Israele progrediva e diventava uno degli Stati democratici più all’avanguardia a livello mondiale.

Quello che sta avvenendo in questi giorni è la fotografia di questa abissale differenza tra Israele e gli arabi, con da un lato l’Eurovision Song Contest che si tiene a Tel Aviv che mostra al mondo la modernità di Israele, mentre dall’altro vi sono le file di palestinesi a Gaza che cercano di ottenere i 100 dollari donati dal Qatar per permettere alle famiglie di interrompere il digiuno del ramadam in maniera dignitosa.

Cosa non ha funzionato?

In molti sono convinti che la mancata nascita di uno Stato Palestinese sia legata alla volontà araba di non accettare la convivenza pacifica accanto a Israele, o meglio ancora, alla volontà araba di distruggere lo Stato Ebraico e prendersi tutto.

In parte è vero, nel senso che la maggioranza dei palestinesi è nata e cresciuta con l’idea che Israele fosse il nemico che ha “usurpato” le terre arabe e che quindi non ci potesse essere pace. Intere generazioni cresciute con l’odio per Israele e per gli ebrei, un odio instillato nei bambini arabi sin dalle scuole primarie come abbiamo potuto verificare ancora ieri.

Ma c’è anche un’altra ragione, forse più “decisiva” dell’odio: la volontà della dirigenza palestinese di non assumersi la responsabilità della creazione di uno Stato, un fatto che comporterebbe enormi responsabilità e soprattutto l’impossibilità di ricevere fondi esteri senza avere l’obbligo di rendicontare l’uso che se ne fa. Per farla breve, la dirigenza palestinese preferisce rimanere in questo strano limbo e rubare a man bassa, piuttosto che assumersi le responsabilità che comporterebbe la gestione di un vero e proprio Stato.

Lo scontro tra Hamas e Fatah (Autorità Palestinese)

Se non bastasse c’è lo scontro tra Hamas e Fatah, cioè l’Autorità Palestinese che governa in Giudea e Samaria (quella che erroneamente viene chiamata Cisgiordania). Nei fatti Gaza (governata da Hamas) e Giudea e Samaria (governata dalla Autorità Palestinese) sono due entità ben distinte l’una dall’altra, entità che vivono due realtà diverse.

La prova l’abbiamo vista proprio due giorni fa quando per la ricorrenza del 71esimo anniversario della Nakba in Giudea e Samaria la gente quasi non se ne è accorta continuando nella sua normale vita, mentre a Gaza si sono organizzate manifestazioni non sempre pacifiche.

Si ha la netta impressione che ai palestinesi in Giudea e Samaria ormai non importi più nulla del destino dei palestinesi di Gaza. E’ una divisione netta, non solo territoriale ma di prospettiva. Una divisione ormai difficilmente superabile.

La fine del supporto arabo

Ma il colpo decisivo all’idea che potesse nascere uno Stato Palestinese l’hanno data proprio coloro che 71 anni fa hanno creato dal nulla il cosiddetto “popolo palestinese” in configurazione anti-israeliana: gli arabi.

I Paesi arabi, a partire dal più importante cioè l’Arabia Saudita, hanno drasticamente tagliato gli aiuti ai palestinesi. Hanno capito che tutti gli sforzi per creare uno Stato Palestinese si sono infranti contro la mancanza di volontà reale da parte della dirigenza palestinese di creare uno Stato.

Non di meno, hanno capito che in Medio Oriente il nemico non è affatto Israele ma l’Iran e che se vogliono arginare l’espansionismo iraniano hanno bisogno di Israele come amico e non come nemico.

Questa “presa di distanza” araba ha messo la dirigenza palestinese in un angolo, reso ancora più “scomodo” dal supporto arabo al cosiddetto “piano del secolo”, il piano di pace americano che non prevede la nascita di uno Stato Palestinese ma solo una forma di autonomia.

La posizione araba è una pietra tombale sul concetto di “due Stati per due popoli” che per importanza supera la già difficilmente risolvile controversia tra Hamas e Fatah che di suo sarebbe sufficiente ad impedire qualsiasi evoluzione in tal senso.

E si badi bene che è una scelta araba, non di Israele. Come in passato è stata una scelta della dirigenza palestinese e non israeliana, oggi la scelta di abortire l’idea di uno Stato Palestinese è prevalentemente araba. Può non dispiacere a Israele, ma non è una scelta di Gerusalemme.

Forse si tornerà a parlare di Stato Palestinese quando finalmente gli arabi capiranno che la loro condizione è figlia dell’ingordigia e della corruzione della loro dirigenza e non di Israele, quando capiranno che avere uno Stato comporta responsabilità di non poco conto e, soprattutto, che comporta rinunciare agli aiuti internazionali. Lo vorranno veramente?

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Esperto di Diritti Umani, Diritto internazionale e cooperazione allo sviluppo. Per molti anni ha seguito gli italiani incarcerati o sequestrati all’estero. Fondatore di Rights Reporter