Una vera pioggia di fuoco si è abbattuta su Hezbollah e per il momento la tanto temuta risposta dell’Iran a sostegno dei terroristi libanesi o come ritorsione per l’eliminazione di Ismail Haniyeh avvenuta proprio in casa degli Ayatollah, non si è vista.
Anzi, il presidente iraniano Masoud Pezeshkian si è affrettato a dire che «Vogliamo vivere in pace, non vogliamo la guerra».
«Siamo disposti a mettere da parte tutte le nostre armi a condizione che Israele sia disposto a fare lo stesso», ha affermato al suo arrivo a New York dove parteciperà all’Assemblea Generale dell’ONU.
Poi ha aggiunto che Israele vuole trascinare il Medio Oriente in una guerra in piena regola provocando l’Iran a unirsi al conflitto che dura da quasi un anno tra Israele e Hezbollah sostenuto da Teheran in Libano.
Il fatto di accusare Israele di “provocazione”, usanza assai diffusa tra gli antisemiti, è una sorta di capovolgimento della realtà a cui purtroppo siamo abituati. Hezbollah ha iniziato a lanciare missili dall’8 ottobre, cioè dal giorno dopo del massacro del 7 ottobre e solo un sito antisemita come la BBC può tirar fuori un rapporto secondo il quale nello scambio tra Israele e Hezbollah lo Stato Ebraico avrebbe attaccato i terroristi con un numero di attacchi 4/5 volte superiore a quello dei terroristi.
Tuttavia è molto indicativo il fatto che il Presidente iraniano abbia lanciato un messaggio di de-escalation, anche se poi il Ministero degli Esteri di Teheran si è affrettato a rilasciare una dichiarazione in cui smentisce le dichiarazioni riportate dal presidente. Perché è indicativo? Perché gli iraniani temono più il rischio che la guerra arrivi in casa loro di quanto abbiano sete di vendetta. Se infatti provassero a lanciare un nuovo attacco contro Israele, nel volgere di pochissimo tempo l’IDF colpirebbe direttamente obiettivi in Iran. E la situazione interna all’Iran potrebbe portare ad una implosione del regime.
Non solo, esattamente come Hezbollah, l’Iran ha tantissimi missili ma pochi lanciatori per i missili balistici, circa 250 in tutto. Una volta lanciata la prima salva i lanciatori verrebbero immediatamente individuati e distrutti. È già successo in Libano. Gli iraniani lo hanno visto e sanno che succederà anche in Iran.
Come hanno visto cosa è in grado di fare il Mossad che in due giorni ha tolto di mezzo il 10% dei miliziani di Hezbollah, decimato i vertici del gruppo terrorista e messo nel panico tutto il resto, lasciati quasi senza mezzi di comunicazione.
La capacità di infiltrazione del Mossad, dimostrata anche ieri con l’attacco mirato contro Ali Karaki, il comandante in capo di Hezbollah, e contro quello che rimaneva dei vertici operativi terroristici, rende nervosi i Guardiani della Rivoluzione (IRGC) che, come dimostra anche l’eliminazione di Ismail Haniyeh, sanno di essere stati infiltrati ma non sanno come né a che livello. Il dubbio che una sorpresa come quella dei cercapersone esplosivi capitata a Hezbollah, possa capitare anche a loro, magari in forma più grande, sconsiglia qualsiasi azione.
L’IDF e l’intelligence israeliane hanno calcolato tutto. Sanno che l’Iran non può lanciare «migliaia di missili» come i catastrofisti e gli anti-israeliani (spesso la stessa persona) vanno dicendo. Non perché non hanno i missili, non hanno i lanciatori e quelli che hanno sono facilmente individuabili.
La lezione che sta subendo Hezbollah è molto più grande di quello che si possa vedere dall’esterno. È la decimazione del gruppo terrorista sia a livello fisico, a partire dai vertici, che a livello militare.
A Teheran guardano impotenti l’umiliazione del loro proxy più potente.
Attenti, non sto dicendo che Hezbollah non è ancora pericoloso. Sarebbe un errore imperdonabile crederlo. Anche questa mattina hanno lanciato centinaia di missili. Tuttavia è innegabile che in poco più di una settimana ha subito un colpo che se non è mortale poco ci manca.
E adesso l’Iran è di fronte al dilemma più grande che gli Ayatollah si siano mai trovati ad affrontare: supportare Hezbollah con un attacco a Israele, oppure rimanere fermi aspettando che lo Stato Ebraico ritenga di aver raggiunto il suo obiettivo e si fermi. Nel primo caso sanno che sarebbe probabilmente la loro fine. Nel secondo dimostrerebbero di essere una tigre di carta e perderebbero ogni forma di deterrenza verso i nemici regionali, gli Stati Arabi.