I segnali che nel mondo arabo sunnita qualcosa stava cambiando in merito ai rapporti con Israele c’erano già da tempo, segnali certamente flebili, ma non invisibili a un occhio attento alle dinamiche arabe. Ma l’ultimo segnale che arriva dal Sudan ha quasi dell’incredibile.
Durante l’international Sudanese dialogue forum che si è tenuto pochi giorni fa a Khartoum con l’intento di unire i vari gruppi politici e gruppi armati del Sudan, improvvisamente è venuta fuori la questione dei rapporti con Israele e altrettanto incredibilmente vi è stata una netta apertura alla normalizzazione di detti rapporti con Gerusalemme.
A parlarne per primo è stato il capo del Sudanese Independent Party il quale ha affermato che «non vi è alcuna giustificazione al fatto che il Sudan debba avere rapporti ostili con Israele, perché pagherà un prezzo economico e politico per questo» facendo notare che la revoca delle sanzioni USA al Sudan debba essere anche uno spunto per normalizzare le relazioni con Israele.
Ma l’apertura più sorprendete è arrivata dal Ministro degli Esteri sudanese, Ibrahim Ghandour il quale ha affermato che «la questione della normalizzazione dei rapporti con Israele può e deve essere esaminata». La tesi di Ghandour è che la normalizzazione dei rapporti con Israele aprirebbe a migliori rapporti anche con gli Stati Uniti e dimostrerebbe che il Sudan ha cambiato marcia e non è più uno Stato che sostiene il terrorismo.
Queste dichiarazioni non hanno mancato di scatenare polemiche sui media arabi ma hanno trovato incredibilmente il sostegno della Lega Araba, come ha detto Ibrahim Sliman, importante membro del Forum il quale ha affermato che «la Lega Araba sostiene questo approccio».
Per comprendere meglio quello che sta accadendo bisogna fare un passo indietro, a quando cioè nel settembre 2014 il Sudan ha deciso di chiudere i centri iraniani in Sudan, tra cui anche fabbriche di armi, e ha espulso l’addetto culturale iraniano accusandolo di fare proselitismo per gli sciiti. In diverse occasioni le fabbriche di armi iraniane in Sudan erano state bombardate da aerei di origini ignota anche se c’è la convinzione che fossero aerei israeliani. Ma la chiusura a Teheran, diventata nel corso del tempo sempre più netta, ha subito una ulteriore impennata quando di recente i rapporti tra l’Iran e l’Arabia Saudita si sono infiammati e il Sudan sunnita si è schierato con decisione a fianco dei sauditi. Ora con questa “apertura” a Israele si dimostra ancora una volta che il mondo arabo sunnita sta cambiando atteggiamento nei confronti di Gerusalemme e che considera l’Iran come il vero pericolo da combattere.
Naturalmente i puristi dei Diritti Umani, quelli che non perdono occasione per chiudere gli occhi sui crimini palestinesi e benedicono Hezbollah e i pasdaran iraniani, non perderanno occasione nemmeno per ricordare che il Presidente sudanese, Omar Al-Bashir, è inseguito da un mandato di cattura internazionale per crimini di guerra, che i sauditi sono tra i peggiori violatori dei Diritti Umani e che l’avvicinamento (lento) del mondo arabo sunnita a Israele è meramente un “avvicinamento tattico” in configurazione anti-iraniana. Magari è tutto vero, ma la politica internazionale è fatta anche di queste cose, soprattutto quando ci si trova davanti un pericolo mortale come quello che rappresenta l’Iran.
Naturalmente non sappiamo se alle parole dette in Sudan si faranno seguire i fatti, ma già il fatto che se ne parli apertamente in una assemblea pubblica è qualcosa di straordinario che fino a qualche mese fa era del tutto impensabile.
Scritto da Antonio M. Suarez