Giovedì il segretario alla Difesa americano, Lloyd Austin, ha parlato con il suo omologo israeliano, Yoav Gallant, per discutere del passaggio di Israele verso «operazioni a bassa intensità a Gaza, del sostegno ad una soluzione diplomatica lungo il confine israelo-libanese e della stabilità in Cisgiordania». Lo ha dichiarato il Pentagono con un comunicato.
In queste poche righe sono racchiusi tutte le sfide e i dilemmi che dovrà affrontare Israele specialmente se le notizie di un imminente accordo con Hamas corrispondessero al vero.
Fatto salvo il primo punto, quello del passaggio a combattimenti a bassa intensità che di fatto sono una realtà nella maggior parte della Striscia e che in caso di accordo dovrebbero comunque cessare, rimangono gli altri due grandi dilemmi, quello del confine con il Libano e quello della stabilità in Cisgiordania.
Il confine con il Libano
Secondo una valutazione della intelligence militare israeliana, in caso di cessate il fuoco tra Israele e Hamas presumibilmente cesseranno anche gli attacchi di Hezbollah così come già successo in occasione degli altri accordi di cessate il fuoco.
Tuttavia il fatto che Hezbollah non attacchi più il nord di Israele non sarà sufficiente a garantire un rientro sicuro delle migliaia di sfollati. Perché ciò avvenga Hezbollah dovrà ritirarsi di almeno 8-10 Km, meglio ancora se, nel pieno rispetto della risoluzione 1701/2006 dell’ONU, Hezbollah si ritiri dietro alla cosiddetta “linea blu” demarcata dal fiume Litani.
Il problema è che, sempre secondo l’intelligence militare, ci sono pochissime possibilità che ciò avvenga. Ecco perché giovedì il Ministro della difesa Israeliano ha avvisato il suo omologo americano che «nel caso Hezbollah non si ritiri in modo significativo, Israele ha pronta una opzione militare per costringerlo a farlo».
Sebbene, nonostante gli scambi quotidiani, sia ormai chiaro che Hezbollah non intenda entrare in guerra con Israele, ritirarsi di 8-10 Km viene interpretato come l’abbandono di una fetta di territorio libanese e per il gruppo terrorista che dipende da Teheran potrebbe essere troppo.
Per questo la prossima settimana l’inviato speciale americano Amos Hochstein arriverà in Israele. Sarà lui a guidare i tentativi di raggiungere un accordo politico tra Hezbollah e lo Stato Ebraico che scongiuri l’apertura di un nuovo conflitto.
Fonti libanesi attendibili affermano che Hezbollah non sarebbe tendenzialmente contrario a lasciare qualche Km di territorio al controllo di UNIFIL, ma sta subendo fortissime pressioni dall’Iran per non farlo.
Israele già da tempo sta ritirando intere brigate di riservisti da Gaza, un po’ per ricambio, un po’ per destinare più truppe al confine nord.
Sempre giovedì il capo di stato maggiore dell’IDF, generale Herzi Halevi, ha visitato il confine settentrionale e ha parlato con soldati e comandanti che si sono detti pronti a qualsiasi scenario.
La stabilità in Cisgiordania
La Giudea e Samaria, detta anche Cisgiordania, è potenzialmente un terzo fronte per Israele. Mantenere stabile quell’area è quindi di vitale importanza. Per questo l’IDF e lo Shin Bet compiono regolarmente azioni preventive contro reali minacce alla stabilità della Cisgiordania.
Israele però deve fare i conti anche con se stesso, cioè con quegli estremisti ebraici che quasi quotidianamente attaccano i palestinesi.
Queste azioni stanno seriamente minando non solo la stabilità dell’area ma anche l’inossidabile alleanza con l’America che ieri, per la prima volta nella storia dalla nascita di Israele, ha deciso di applicare sanzioni contro gli estremisti ebraici responsabili di violenze verso i palestinesi.
Spesso succede che i militari israeliani lascino fare i facinorosi ebraici e ieri il segretario alla Difesa americano, Lloyd Austin, ha chiesto al Ministro della difesa israeliano Yoav Gallant di rimediare al più presto per non mettere in difficoltà il Presidente Biden con l’ala sinistra del suo partito che chiede maggiori sanzioni contro gli estremisti ebraici e la fine del supporto americano a Israele a causa delle tante vittime civili della guerra con Hamas.
Checché ne dicano quattro leoni da tastiera, Israele non può fare a meno del sostegno diplomatico (all’ONU) e militare dell’America. E il punto debole è proprio la Cisgiordania dove l’estrema destra conta (così come a Gaza) di espellere i palestinesi saltando a piè pari la soluzione a due stati o qualsiasi altro tipo di soluzione che non preveda lo “spostamento in altro luogo” di milioni di palestinesi.
Forse è arrivato il momento che Israele torni a essere Israele e che si allontani dall’estremismo di pochi che sta portando la “start-Up Nation” fuori da ogni moderno consesso internazionale.