In pochissimi anni Teheran ha allargato a dismisura la sua sfera d’influenza in Medio Oriente. Uno alla volta gli iraniani hanno fagocitato lo Yemen, la Siria, il Libano, l’Iraq e probabilmente l’Afghanistan.
Ora stanno passando alla seconda fase del loro ambizioso progetto e forti di una massiccia presenza militare in questi territori, anche grazie ai numerosi proxy, puntano direttamente al cuore di quelli che gli Ayatollah considerano nemici.
L’attacco dei giorni scorsi ai più importanti centri petroliferi dell’Arabia Saudita dimostra senza ombra di dubbio la sfrontatezza e la pericolosità iraniana.
Pur cercando di non alimentare ulteriori tensioni con toni “da guerra”, appare ormai chiaro che non solo l’attacco alle raffinerie saudite è stato organizzato a Teheran, ma che probabilmente è partito dal territorio iraniano o, al massimo, da quello iracheno sotto controllo delle milizie che fanno capo agli Ayatollah e in particolare ai Guardiani della Rivoluzione Islamica.
Anche se gli Houti ne hanno rivendicato la paternità, le immagini satellitari e le tracciature fatte a seguito dell’attacco mostrano impietosamente che quei missili e quei droni non provenivano dallo Yemen.
La sfida dei pasdaran
L’attacco iraniano gli impianti sauditi dimostra anche un’altra cosa di non poco conto: che in Iran ci sono due scuole di pensiero, quella più diplomatica e disposta al dialogo del Presidente Hassan Rouhani, apparentemente disposto ad incontrare il Presidente Donald Trump tra qualche giorno a New York, e quella dei Pasdaran che cercano invece lo scontro totale sicuri di poter tener testa a chiunque.
Non è un caso infatti che l’attacco agli impianti sauditi sia arrivato proprio quando le voci di un incontro tra Rouhani e Trump si facevano più insistenti e concrete.
Ma c’è un’altra cosa che la comunità internazionale non dovrebbe sottovalutare: quando gli iraniani dicono di voler attaccare uno Stato, lo fanno.
Hanno attaccato l’Arabia Saudita e lo avevano promesso, ora con molta probabilità si apprestano ad attaccare Israele dopo che da anni lo annunciano.
La differenza sta nel fatto che attaccare Israele non è così facile come attaccare l’Arabia Saudita.
Probabilmente l’attacco con droni esplosivi sventato qualche settimana fa dagli israeliani era la fotocopia di quello portato contro l’Arabia Saudita due giorni fa.
Incomprensibile comunità internazionale
È quindi incomprensibile, anche in ragione dell’attacco all’Arabia Saudita, come nella comunità internazionale ci sia così tanta fiducia nel regime iraniano. Vedere nazioni importanti come la Francia che lavorano costantemente per togliere le sanzioni all’Iran appare francamente come una mossa anti-israeliana piuttosto che come una “convinta” linea politica.
Rimane un mistero il perché altre nazioni europee, come per esempio l’Italia, sembrino accettare passivamente la politica di Macron invece che trattare l’Iran per quello che è in realtà, cioè il più grande pericolo per la pace e per l’economia mondiale.