Diciamocelo chiaramente e senza paura di essere smentiti, con Benjamin Netanyahu era molto più facile. Era più facile approvarlo o disapprovarlo a seconda di come uno la pensasse.
Netanyahu con l’Iran, con Hamas, con Hezbollah e più in generale con i nemici di Israele aveva una strategia e la portava avanti a costo di litigare (come è avvenuto) con l’Amministrazione americana.
Noi tutti amici di Israele eravamo quindi in trepida attesa dell’incontro tra il nuovo Premier israeliano Naftali Bennet e il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden, non fosse altro per capire qual’era la strategia dei due con l’Iran.
E invece nulla. OK, gli americani in quel momento avevano altro a cui pensare. Il Presidente Biden poi aveva chiaramente bisogno di dormire invece che interloquire con il suo maggior alleato in Medio Oriente. Ma un nulla così evidente non ce lo saremmo davvero aspettati.
Cosa abbiamo capito della strategia di Bennet per fermare l’Iran?
Allora, non è corretto nemmeno dire che da questo incontro è emerso “il nulla”. In realtà qualcosa è emerso: la strategia di Bennet è la pazienza.
Con i servizi segreti israeliani che si sgolano per avvertire che l’Iran è a poche settimane dall’avere abbastanza materiale fissile altamente arricchito per una bomba, la “strategia della pazienza” mi sembra davvero poco appropriata (per usare un eufemismo e per non scadere nei francesismi).
Però è questo che ha detto Bennet a Biden, oltre a garantirgli che lui non avrebbe fatto come “l’altro” che si era messo di traverso quando Obama aveva fatto scelte a dir poco scellerate.
Lui no, anzi, Bennet avrebbe garantito di «optare per un approccio più ampio che cercasse di contrastare l’Iran al di là del suo programma nucleare».
Quindi, contrastare con ogni mezzo i suoi bracci esterni (Hezbollah, Hamas, Jihad Islamica ecc. ecc.), contrastare i suoi attacchi marittimi nel Golfo Persico e infine strangolare la sua economia.
Insomma, un piano che non ha nulla di immediato quando la parola “immediato” dovrebbe essere al primo posto su qualsiasi cosa contenga la parola “Iran”.
L’idea, hanno detto i consiglieri di Bennet la scorsa settimana a Washington, sarebbe quella di «spingere contemporaneamente su una serie di punti deboli, nella speranza che una pressione sufficiente faccia crollare la Repubblica islamica».
Ora, a parte che in tanti ci hanno provato a far cadere il regime iraniano e hanno sempre fallito perché fino a quando ci saranno di mezzo gli enormi interessi che gestiscono le Guardie della Rivoluzione non sarà possibile far niente.
Quindi, prima di far cadere il regime bisognerebbe far cadere le Guardie Rivoluzionarie. Se va bene occorrerebbero anni.
Poi gli iraniani, con il fondamentale aiuto cinese, hanno ampiamente dimostrato di sapere come eludere sanzioni ed embarghi vari.
Insomma, l’idea di rispolverare il piano del “regime change” dimostra che Bennet non ha proprio nessuna idea di come affrontare il problema iraniano.
E questo è davvero pericoloso perché, come dimostra la fuga americana dall’Afghanistan, l’Islam non si combatte se non si esce dagli schemi.
E non c’è nessuno meglio dell’Iran degli Ayatollah e dei Mullah che esprima il concetto di “Islam”, nemmeno i Talebani afghani/pachistani.
Spiace dirlo perché uno vorrebbe sempre sostenere il Governo israeliano a prescindere dal suo colore politico (ammesso che questo abbia un colore politico), ma è davvero difficile sostenere un Governo senza idee o con poche idee malsane come questo.
Parlare di “politica della pazienza” con l’Iran a un centimetro dalla bomba è malsano prima ancora che folle. Dimostra che Bennet non ha nessuna idea di cosa fare con Teheran. E questo per Israele è molto, ma molto pericoloso.
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