Monta l’ottimismo dei fautori della pace ad ogni costo tra israeliani e palestinesi a seguito dell’accordo di riconciliazione palestinese raggiunto al Cairo con la mediazione del Presidente egiziano, Abdel Fattah al-Sisi.
Secondo molti intellettuali ed editorialisti della sinistra israeliana, tra i quali Ami Ayalon, Gilead Sher e Orni Petruschka che ne scrivono oggi su Yedioth Ahronoth, questo accordo non è solo una opportunità per i palestinesi ma lo è soprattutto per Israele. Secondo il pensiero ottimista che circonda l’accordo di riconciliazione palestinese, questa evoluzione potrà portare finalmente alla tanto agognata soluzione dei due stati a condizione però che Israele accetti di sedersi al tavolo delle trattative e accetti le condizioni palestinesi e le garanzie per la sicurezza che tale accordo implicherebbe.
Ora, già il solo affermare che Israele dovrebbe accettare le condizioni palestinesi implica che lo Stato Ebraico ceda alle assurde richieste palestinesi sia per quanto riguarda il ritiro entro i confini del 67 (compresa Gerusalemme Est) che per quanto concerne il cosiddetto “diritto al ritorno” dei finti profughi palestinesi, il che non è accettabile per Israele. Ma c’è un punto che gli ottimisti evitano accuratamente di affrontare, quello della sicurezza, un punto che l’accordo di riconciliazione palestinese appena raggiunto al Cairo non affronta, almeno non per quanto riguarda la sicurezza dello Stato Ebraico.
Il fatto che i palestinesi si siano accordati tra di loro non significa che Hamas abbia rinunciato a quello che è il primo punto del suo statuto, cioè la distruzione dello Stato Ebraico e la nascita di uno stato palestinese che vada dal mare al fiume Giordano, in pratica la cancellazione di Israele. Anzi, la dirigenza di Hamas ha tenuto a precisare che i loro obiettivi sono praticamente invariati. Quindi secondo gli ottimisti intellettuali israeliani il Governo di Gerusalemme dovrebbe sedersi e trattare sulle modalità della sua distruzione. E la chiamano pure “opportunità”.
Poi, sempre in tema di sicurezza, Israele dovrebbe accettare non solo che le milizie armate di Hamas che tengono in ostaggio la Striscia di Gaza rimangano al loro posto ma che persino la sicurezza di Giudea e Samaria venga completamente lasciata nelle mani dei palestinesi, magari con una condivisione di responsabilità tra Hamas e Fatah.
Perché è un inganno?
Le reazioni del mondo arabo e di quello pacivendolo sono state tutte di elogio per il raggiunto accordo di riconciliazione palestinese. E come poteva essere altrimenti? I palestinesi se la sono cantata e se la sono suonata da soli. Hanno parlato di “opportunità per la pace anche per Israele” senza deviare di un millimetro dalla retorica anti-israeliana che ha contraddistinto la loro strategia fino ad oggi. Hamas non smobiliterà le sue truppe e non rinuncerà a costruire tunnel del terrore o a fare attentati in Israele, Fatah dal canto suo non rinuncerà al controllo della Cisgiordania potendo però vantarsi di “amministrare Gaza”. L’accordo di riconciliazione palestinese è una vittoria politica per Abu Mazen e per il Presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, ma nulla di più. In sostanza le richieste palestinesi non cambiano di una virgola, tuttavia si continua a considerare tale accordo come l’opportunità per Israele di accordarsi con i cosiddetti palestinesi. E si usa tale accordo per cercare di portare lo Stato Ebraico a trattare quando non c’è nulla su cui trattare dato che per gli arabi trattare equivale ad accettare le richieste palestinesi che, come abbiamo visto, Israele non può accettare. Ma lo spostamento di pressione su Israele è ormai avvenuto. Se Israele non “tratterà” con i palestinesi ormai riconciliati sarà solo per colpa sua. Su questo sono ormai tutti d’accordo, dalla UE della Mogherini all’Onu. E’ un inganno bello e buono, l’ennesimo che si consuma ai danni di Israele, un abuso delle credulità come già ne abbiamo visti a frotte in passato e sul quale anche la sinistra israeliana sta cadendo.
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