ISIS nel Sinai. La nuova strategia secondo l’intelligence israeliana

C’è un rapporto di intelligence sulle attività di ISIS nel Sinai che non lascia troppo tranquilli i vertici militari israeliani. Da mesi ormai lo Stato Islamico subisce una sconfitta dietro l’altra, ieri è caduta anche Raqqa, ultimo simbolo del potere del Califfato nero. Il Sinai diventa quindi la via di fuga e luogo di ricovero per i terroristi in fuga dalla Siria e dall’Iraq.

L’intelligence israeliana da mesi rilascia regolari rapporti sulle attività dello Stato Islamico nella penisola egiziana. Anche se non può usare tutte le tecnologie a sua disposizione a causa della ostilità egiziana a far volare, per esempio, i droni israeliani sui cieli egiziani, il sistema di spionaggio israeliano lavora a pieno ritmo collaborando spesso con l’intelligence del Cairo. Riguardo allo Stato Islamico lo spionaggio israeliano si sta concentrando principalmente su due aree, quella appunto del Sinai e quella giordana da dove i terroristi potrebbero passare proprio per raggiungere il territorio egiziano. La collaborazione tra le intelligence di Gerusalemme, del Cairo e di Amman è ad altissimi livelli.

Uno degli ultimi rapporti rilasciati dalla intelligence del IDF parla molto chiaramente dei rischi collegati al “trasferimento” di ISIS nella Penisola del Sinai, un rapporto che è stato analizzato con molta attenzione dopo che nella notte tra domenica e lunedì scorsi i terroristi dello Stato Islamico hanno sparato razzi contro il sud di Israele. Gli analisti israeliani ritengono e temono che quell’episodio sia il preludio di una strategia più vasta volta a innescare una escalation nei confronti di Israele ed Egitto finalizzata a creare tensione tra Gerusalemme e il Cairo. Gli obiettivi dei terroristi sarebbero fondamentalmente due: (1) attaccare Israele per provocare una reazione nella Penisola del Sinai tale da mettere in difficoltà le buone relazioni israeliane con l’Egitto (2) compromettere l’accordo raggiunto tra Hamas e il Cairo finalizzato al raggiungimento dell’unità palestinese, un accordo che prevede anche la collaborazione tra i terroristi palestinesi e l’Egitto per quanto riguarda le attività di ISIS nel Sinai.

Possibili attentati in Israele

Il punto che preoccupa di più gli analisti israeliani è il primo. Gli egiziani stanno impiegando una massiccia forza militare nella Penisola del Sinai al fine di stroncare le attività di Ansar al-Bayt al-Maqdis, il gruppo jihadista affiliato allo Stato Islamico che opera nella penisola egiziana. Questa forza va molto oltre quanto permesso dagli accordi di Camp David tra Israele ed Egitto in merito alla presenza militare egiziana nel Sinai. Ma Israele lo scorso anno ha autorizzato questo “sforamento” autorizzando gli egiziani ad usare anche elicotteri e mezzi blindati che secondo quell’accordo non potrebbero invece essere impiegati nel Sinai. Gerusalemme è consapevole che per combattere adeguatamente gli Jihadisti gli egiziani devono usare tutti i mezzi a loro disposizione. Tuttavia questo “sforamento” ha delle conseguenze sulla possibilità israeliana di reagire agli attacchi jihadisti al suo territorio. Lo abbiamo visto proprio dopo l’attacco di domenica scorsa quando l’IDF non ha potuto colpire immediatamente il punto di lancio dei missili come per esempio avviene con Hamas a Gaza proprio a causa della massiccia presenza militare egiziana ma soprattutto perché un intervento israeliano in territorio egiziano sarebbe visto dall’opinione pubblica egiziana come un attacco all’integrità territoriale dell’Egitto. Ed è proprio su questo che conterebbero gli jihadisti di ISIS. Il loro obiettivo, secondo gli analisti di intelligence israeliani, sarebbe quello di colpire Israele così duramente da provocarne la reazione nel Sinai in modo da compromettere le relazioni con il Cairo.

Nei giorni scorsi, con molta discrezione, Israele ha innalzato il già alto livello di sicurezza lungo tutto il confine con l’Egitto per il timore che gli jihadisti si possano infiltrare in territorio israeliano e colpire i villaggi che si trovano in quell’area. In diverse occasioni ci hanno già provato, nel 2014 con un attacco contro un autobus diretto a Taba e in altre occasioni “meno note”. Il livello di allarme è giudicato “molto serio”.

Non è chiaro quale strategia sia prevista in caso di un attacco a Israele proveniente dal Sinai. I vertici militari israeliani guardano con riluttanza alle operazioni militari egiziane nella Penisola, ritengono che non siano sufficientemente incisive e premono affinché in caso di attacco possano avere mano libera nel colpire obiettivi terroristici in territorio egiziano. Ma questo comporterebbe automaticamente una crisi diplomatica con il Cairo, che è proprio quello che vogliono gli Jihadisti di ISIS. Per questo è stato chiesto agli egiziani di potenziare i controlli anche dal loro lato del confine in modo da scongiurare eventuali infiltrazioni jihadiste in Israele. Funzionerà? Difficile da dire. Gli egiziani in oltre due anni non sono riusciti a debellare Ansar al-Bayt al-Maqdis dal Sinai nonostante la possibilità di usare aviazione e mezzi blindati. Non è un gran bel biglietto da visita proprio in un momento in cui il Sinai potrebbe diventare la valvola di sfogo e la via di fuga di ISIS.

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