[gss-content-box]Per correttezza – Prima di leggere l’articolo siete pregati di andare a vedere su questi link (qui e qui) perché è chiaro che in questo caso ci siamo sbagliati[/gss-content-box]
Gerusalemme, 03/07/2014 – Cerchiamo di fare un ragionamento logico sull’omicidio di Mohammed Abu Khdeir, il ragazzino palestinese trovato bruciato nei pressi di Gerusalemme della cui morte tutti i media mondiali accusano gli estremisti ebraici. Cerchiamo di farlo senza farci condizionare dagli stessi media e soprattutto nel rispetto di quanto chiesto dal portavoce della polizia israeliana, Rafi Yafeh, in merito al tenere un profilo basso fino a quando non sarà la stessa polizia a dare informazioni ufficiali.
Prima di tutto ripercorriamo gli eventi. Tre giorni fa vengono trovati i corpi trucidati dei tre ragazzi ebrei rapiti e ammazzati da Hamas. Grande indignazione in Israele, poche reazioni dalla comunità internazionale se non quelle di circostanza. L’unica preoccupazione è relativa alla possibile reazione israeliana. Il giorno dopo ci sono i funerali dei tre ragazzi il tutto mentre su tutto il sud di Israele piovono decine di missili. L’indignazione internazionale (se così la vogliamo chiamare) è già scemata. Ma d’altra parte non è mai stata alta nemmeno nei giorni del sequestro quando ancora si credeva che i ragazzi fossero vivi. Ieri viene trovato i corpo bruciato di un ragazzino arabo e scoppia il pandemonio, sia a livello locale con un atipasto di intifada che a livello mediatico globale. Non c’è un solo media internazionale che non parli di “vendetta israeliana”. Non servono gli appelli della polizia alla prudenza, i media e isoliti idioti soffiano volentieri sul fuoco delle violenze. Pochi fanno caso al fatto che il ragazzino palestinese è stato bruciato, una cosa che un ebreo (specie se ortodosso) non farebbe mai e poi mai, nemmeno per il peggior nemico.
Nella tarda mattinata di ieri Rights Reporter parla con alcuni esponenti della polizia e viene fuori che in pochissimi pensano che il ragazzo sia stato ucciso da ebrei. Anzi, la storia criminale della famiglia del giovane arabo fa supporre che si tratti di un delitto maturato nel mondo criminale di Gerusalemme Est. Poi le prime voci, confermate da conoscenti, della omosessualità del ragazzino fanno addirittura pensare a un delitto d’onore. Ma la situazione a Gerusalemme è gravissima, la polizia non può diffondere questi sospetti che verrebbero presi come una “montatura” e potrebbero accendere ancora di più gli animi. Nella tarda serata di ieri sera si diffondono voci dell’arresto di due famigliari del ragazzino arabo, ma le voci non trovano conferme ufficiali ma nemmeno smentite. Un dirigente della polizia, sotto condizione di anonimato, conferma che c’è un filmato ripreso da una telecamera di sicurezza che mostra il momento del sequestro del giovane arabo. Ma naturalmente di tutto questo i media non ne parlano e continuano a dare per scontato che si tratti di una vendetta israeliana. I medi israeliani, in conformità con quanto chiesto da Rafi Yafeh, continuano a mantenere un basso profilo.
E siamo a questa mattina. Rights Reporter viene a sapere che il padre del ragazzino ucciso aveva denunciato qualche giorno fa alla polizia il rapimento del figlio più piccolo affermando poi in seguito che si trattava di “un errore”. Viene così fuori che il ragazzino veniva continuamente vessato e deriso per la sua condizione e più di una volta sarebbe stato minacciato di morte. In Palestina non è necessario che sia provata l’omosessualità di qualcuno, basta il sospetto.
Ora, facciamoci due conti. La tempistica dei fatti è davvero allucinante. In tre giorni si è passati da una flebile condanna per l’omicidio dei tre ragazzi israeliani e alla paura di una reazione armata israeliana nei confronti di Hamas (che continua a tirare missili a getto continuo), ad una generalizzata condanna di Israele per una presunta vendetta che quasi certamente non c’è stata (noi ne siamo ragionevolmente certi). Non solo si è oscurato a livello globale il brutale omicidio dei tre ragazzi, ma si è trovata quella scusa che mancava per dare il via a violenze inaudite a Gerusalemme Est e, quasi, a giustificare il lancio di missili sul sud di Israele. Non solo, come ci faceva notare questa mattina un dirigente della polizia di Gerusalemme, si è creata una condizione per la quale anche se la polizia avesse i nomi degli assassini del ragazzino arabo e questi non fossero israeliani, non potrebbe né diffonderli né tantomeno procedere al loro arresto perché darebbe la scusa agli arabi per scatenare ulteriori violenze. A qualcuno non viene in mente che ci si trovi di fronte all’ennesimo trabocchetto palestinese?
[glyphicon type=”user”] Scritto da Miriam Bolaffi
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